giovedì 31 gennaio 2013

Sette menzogne sul "10 marzo"


Zhang Jianfeng – China Tibet Online


Sette menzogne sulle principali dichiarazioni del Dalai Lama sul "10 marzo"
Ogni 10 marzo, il 14esimo Dalai Lama evoca la sua forza ed apre la sua bocca per ripetere quello che sostiene da decadi. Anche se si scervella ogni anno, non c'è niente di nuovo nei suoi discorsi. Ci sono anzi molte contraddizioni. China Tibet Online farà un inventario delle sue dichiarazioni e condividerà alcuni punti dubbiosi.Menzogna numero uno 1: "Costruire una nuova nazione tibetana" e "Non sto cercando l'indipendenza"

10 Marzo 1961: "Il popolo tibetano ha riaffermato la sua indipendenza... Mi appello ai promotori e all'assemblea per ottenere dai cinesi di terminare la loro aggressione e aiutarci a ripristinare l'indipendenza del Tibet".

10 Marzo 1963:"Perciò faccio appello al completo ritiro dei cinesi dal Tibet".

10 Marzo 1971:"Dico in confidenza che verrà un tempo in cui il mio popolo spezzerà il giogo dell'oppressione comunista cinese e si rialzerà per costruire una nuova nazione tibetana".

10 Marzo 1994: "Ognuno di noi deve stare in allerta e rinnovare il nostro impegno alla giusta causa del nostro paese".

10 Marzo 1998: "Con riguardo alla soluzione reciprocamente accettabile alla questione del Tibet, la mia posizione è lineare. Non sto cercando l'indipendenza".

10 Marzo 2003: "Fin dall'inizio degli anni settanta in consultazione con le autorità tibetane ho preso la decisione di cercare una soluzione ai problemi tibetani attraverso il Middle Way Approach".

10 Marzo 2005: "Voglio ancora una volta rassicurare le autorità cinesi che finchè sarò responsabile delle relazioni del Tibet, rimarremo completamente legati al Middle Way Approach e di non cercare l'indipendenza per il Tibet".

10 Marzo 2006: "Essendo questo il caso, ho dichiarato molte volte che non sto cercando la separazione del Tibet dalla Cina, ma quello che sto chiedendo è il suo futuro nel quadro della Costituzione Cinese".

10 Marzo 2009: "L'insistenza cinese, secondo cui dovremmo accettare il Tibet come parte della Cina fin dai tempi antichi, non solo è imprecisa ma anche irragionevole".

L'argomento è il profitto del quattordicesimo Dalai Lama. Peccato che abbia fatto affermazioni contraddittorie. Quando la situazione era a suo vantaggio, ha chiesto "l'indipendenza"; quando era a suo discapito, l'ha negata. Chi può credere alle sue dichiarazioni?

Menzogna numero 2: Il Tibet era una "nazione indipendente"?

10 Marzo 1964: "Prima dell'invasione dei cinesi, i tibetani sono rimasti liberi e indipendenti per decenni".

10 Marzo 1968: "I bambini tibetani, per cui guardo alla futura fondazione di un Tibet libero e indipendente... Molti paesi hanno supportato la nostra causa alle Nazioni Unite e hanno condannato l'aggressione cinese in Tibet".

10 Marzo 1969: "Sullo stato dell'indipendenza del Tibet e la violazione armata della sovranità da parte dei comunisti cinesi".

10 Marzo 1984: "Il Tibet era un paese indipendente con una storia documentata da più di mille anni".

10 Marzo 1981: "(Il Tibet) era una nazione dalla cultura ricca e con una storia di più di duemila anni".

Il termine "indipendenza" torna di routine nei discorsi annuali sul "10 Marzo" del Dalai Lama. Adatta se stesso al cambiamento di circostanze senza riguardo di alcun principio. Pertanto non è necessario discutere l'inganno che ha messo in atto la prima volta.

Menzogna numero 3: Pace e violenza, i due volti del Dalai Lama

10 Marzo 1963: "L'unica soluzione del problema del Tibet è l'insediamento pacifico coerente con le libertà e i diritti fondamentali dei tibetani".

10 Marzo 1964: "Ma le barbare atrocità, compreso l'intento di sterminare la razza e le credenze religiose dei tibetani, perseverano ancora e la lotta della gente continua".

10 Marzo 1968: "Per quei fortunati che sono riusciti a scappare dai comunisti cinese rimane di assumere il nobile compito per cui molti nostri compatrioti hanno dato la loro vita in questo giorno memorabile".

10 Marzo 1969: "Un numero sempre presente di giovani educati e indottrinati in Cina denunciano pubblicamente la presenza stessa di governanti stranieri e partecipano ad atti di sabotaggio e altre attività anti-cinesi".

10 Marzo 1970: "Soltanto nel 1969, abbiamo appreso di agguati, di raid fatti dai tibetani alle basi militari cinesi e ai depositi di munizioni nelle aree di Chamdo, Poh, Lhoka, Tolung, Nyemo e Shang. Ci sono anche stati casi in cui molti ufficiali cinesi sono stati uccisi o presi prigionieri dai tibetani durante incontri tenuti dai cinesi".

10 Marzo 1971: "Mille rivolte possono iniziare e mille volte i cinesi possono schiacciarle, ma non potranno mai distruggere lo spirito di libertà che risiede in ognuno di noi".

10 Marzo 1976: "Con un coraggio che non conosce frontiere o sconfitte e il sacrificio dello stesso soffio vitale, il nostro popolo sta continuando a creare una situazione di tensioni e crisi disperate per i cinesi".

10 Marzo 1981: "Quello che è più importante è che in futuro ci sia una vera pace e felicità attraverso lo sviluppo di un'amichevole e una significativa relazione tra Cina e Tibet".

10 Marzo 1985: "Adesso, sento come cosa più importante per noi di tenerci in stretto contatto per esprimere francamente i nostri punti di vista e fare sforzi sinceri per capirci l'un l'altro".

10 Marzo 1989: "Sono profondamente addolarato di apprendere che ci sono stati ulteriori spargimenti di sangue a Lhasa pochi giorni dopo aver fatto questa dichiarazione. La nostra è una lotta non violenta e deve rimanere così".

10 Marzo 1990: "Per portare una pacifica e ragionevole soluzione alla causa del Tibet, ho proposto I cinque punti di pace e la proposta di Strasburgo".

10 Marzo 1998: "Mentre capisco la loro situazione difficile, io desidero fermamente ribadire ancora una volta l'importanza di rispettare la rotta non violenta della nostra lotta per la libertà. Il sentiero della non violenza deve rimanere una questione di principio nella nostra lunga e difficile ricerca della libertà".

10 Marzo 2004: "Così nel 1954, così oggi, sono determinato a non lasciare nulla di intentato nela ricerca di una benevola soluzione reciproca che risolva le preoccupazioni cinesi e che dia al popolo tibetano una vita di libertà, pace e dignità".

10 Marzo 2009: "Comunque, il fatto che fossero guidati da una ferma convinzione di servire la causa del Tibet che continua di generazione in generazione è veramente un motivo di orgoglio".

Come la politica imperialista del "bastone e della carota", per decenni, il Dalai Lama è stato la bandiera della violenza e della pace. Sfortunatamente per lui, le recite sono sempre più prive di idee; col passare del tempo la gente comune ha cominciato a stancarsi dei suoi inganni.

Menzogna numero 4: Il cosidetto "Problema del Tibet" sollevato dal Dalai Lama

10 Marzo 1985: "La questione tibetana è complicata e affonda profondamente le sue radici nella storia. Per questo, non ci possono essere soluzioni semplici o immediate ai nostri problemi. Nonostante tutti, fattori come la verità e la determinazione umana sono importanti".

10 Marzo 1993: "Il popolo tibetano continua a resistere alla soggiogazione e alla colonizzazione con coraggio e determinazione.. Chiedo a ogni tibetano di rinnovare la nostra dedizione fino a che non ci siano ridati i nostri diritti e la libertà. Queste sono indicazioni chiare che dimostrano il problema del Tibet è passato dai margini politici ad avere una maggiore attenzione a livello internazionale".

10 Marzo 1998: "Oltretutto, la crescente empatia, il supporto e la solidarietà... per il mio Middle Way Approach sono di particolare ispirazione e una fonte di grande incoraggiamento per noi tibetani".

10 Marzo 1999: "La causa radicale del problema tibetano non è differenza ideologica, il sistema sociale o le questioni risultanti dallo scontro tra tradizione e modernità. Non è soltanto una questione di violazione di diritti umani. La radice del problema tibetano giace nella lunga, separata storia del Tibet, nella sua antica, distinta cultura e nella sua unica identità".

Nelle dichiarazioni del Dalai Lama, il cosidetto "Problema del Tibet" è flessibile e intercambiabile a seconda della situazione, ma le sue intenzioni sono così ovvie che nessuno sarà ingannato.

Menzogna numero 5: L'intervento occidentale e l'apprezzamento del Dalai Lama

10 Marzo 1966: "A nome di chi ha dato la sua vita per la libertà, a nome di quelli che continuano eroicamente a resistere ai cinesi in Tibet e anome di chi è in esilio voglio ringraziare i governi di El Salvador, Irlanda, Malesia, Malta, Nicaragua, Filippine e Thailandia per aver appoggiato la risoluzione che chiede l'immediata cessazione dell'oppressione e il ripristino delle libertà fondamentali in Tibet all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Voglio anche ringraziare i governi che hanno appoggiato la risoluzione".

10 Marzo 1970: "Voglio anche ringraziare tutte quelle nazioni che hanno avuto cura di dare un fermo e forte supporto nella causa dell'indipendenza del Tibet".

10 Marzo 1971: "In conclusione, prendo questa opportunità per ringraziare ancora tutte le nazioni e gli individui che stanno continuando a darci supporto morale e materiale nell'ora del bisogno".

10 Marzo 1979: "Ma i cinesi hanno dichiarato che fu fomentata e condotta da oppositori esterni quali la tigre di carta imperialista americana, gli espansionisti indiani e alcuni dei nemici interni reazionari".

10 Marzo 1985: "Nel nostro solo caso solo questo è evidente dagli interessi, simpatia e assistenza che abbiamo ricevuto dal governo e dal popolo dell'India, da varie organizzazioni internazionali di volontariato, gruppi religiosi e un ampio numero di individui. Voglio, pertanto, prendere l'opportunità di esprimere ancora una volta la nostra profonda ammirazione e dire che il loro aiuto e la loro gentilezza saranno sempre ricordati con gratitudine".

10 Marzo 2004: "Voglio prendere l'occasione di esprimere la mia ammirazione e gratitudine per il consistente supporto che abbiamo ricevuto nel mondo".

10 Marzo 2008: "Voglio prendere l'occasione per ringraziare il governo, il popolo dell'India, in particolare per il loro continuo e impareggiabile supporto ai rifugiati tibetani e alla causa del Tibet, così come esprimo la mia gratitudine a tutti quei governi e persone per la continua attenzione alla causa tibetana. Con le mie preghiere per il benessere di tutti gli esseri senzienti".

10 Marzo 2009: "Voglio prendere l'occasione di esprimere la mia sincera gratitudine ai leader, al popolo dell'India, come a quelli dei suoi stati centrali, che, a sprezzo dei problemi e degli ostacoli a cui si trovano davanti, hanno dato un inestimabile aiuto e assistenza per oltre 50 anni ai tibetani in esilio. La loro gentilezza e generosità è immisurabile".

Uno dei temi permanenti dei discorsi annuali del Dalai Lama è appellarsi al supporto internazionale e fare del "Problema del Tibet" una questione internazionale. Le sue vere e orribili intenzioni sono chiaramente evidenti.

Menzogna numero 6: Rappresentazione della "ribellione del 10 Marzo"

10 Marzo 1963: "... in questa giornata memorabile per evidenziare la spontanea ribellione del pacifico e devoto popolo del Tibet contro gli spietati e insensati conquistatori".

10 Marzo 1965: "Ancora una volta, ricordiamo solennemente il giorno in cui il disarmato e innocente popolo tibetano si rivoltò spontaneamente contro i conquistatori cinesi".

10 Marzo 1970: "fu in quel giorno in cui il popolo coraggioso del Tibet si rivoltò... chiedendo il ripristino dell'indipendenza del Tibet".

10 Marzo 1976: "Sono passati settanta anni da quando i tibetani iniziarono la loro giusta lotta per il loro innato diritto di indipendenza nazionale del Tibet".

10 Marzo 1985: "Il 10 marzo quest'anno segna il 26esimo anniversario della nostra rivolta nazionale".

10 Marzo 1993: "Oggi commemoriamo il 34esimo anniversario della rivolta nazionale dei tibetani del 1959".

10 Marzo 1996: "Commemoriamo oggi il trentasettesimo anniversario della rivolta del popolo tibetano".

10 Marzo 2000: "....il giorno del 41esimo anniversario della rivolta nazionale del Tibet del 1959".

10 Marzo 2003: "...nell'occasione del 44esimo anniversario della rivolta del popolo tibetano del 1959".

10 Marzo 2005: "In occasione del 46esimo anniversario della rivolta del popolo tibetano..."

10 Marzo 2011: "Oggi ricorre il 51esimo anniversario della pacifica rivolta del popolo tibetano nel 1959 contro l'oppressione della Cina Comunista, così come il terzo anniversario della pacifica protesta scoppiata in Tibet nel marzo del 2008".

Ogni anno, il Dalai Lama ricorda in modo diverso la rivolta armata del 1959. Comunque non ha mai smesso di utilizzare i termini "ribellione per l'indipendenza", "resistenza contro gli invasori" e "rivolta". Questo dimostra la sua bigotteria nel combattere contro il nuovo Tibet e i milioni di schiavi che sono stati emancipati.

Menzogna numero 7: La parola "storia" è stata usata 95 volte nei discorsi del Dalai Lama, ma che storia ha in mente?

10 Marzo 1973: "Cercando in ogni periodo della storia tibetana, sappiamo che il Tibet è esistito come nazione indipendente".

10 Marzo 1984: "Il Tibet era un paese indipendente con una storia documentata da più di mille anni".

10 Marzo 1995: "La vera natura delle storiche relazioni tra Tibet e Cina è il miglior lascito che gli storici tibetani e cinesi possono studiare oggettivamente".

Sebbene la parola "storia" sia usata dal Dalai Lama a discrezione della sua volontà, non può essere cambiata in modo casuale.
In conclusione, ci sono molte differenze e cambiamenti nei discorsi del "10 Marzo" del Dalai Lama ogni anno, ma l'intenzione di portare avanti "l'indipendenza del Tibet" e di dividere il Tibet dalla Cina non è mai cambiata.
 
Traduzione dall'inglese a cura di Andrea Parti

mercoledì 30 gennaio 2013

Nuovi benefici per i tibetani nel 2012


http://chinatibet.people.com.cn/8107538.html
Nuovi benefici per i tibetani nel 2012China Tibet Online 25 gennaio 2013 
La qualità della vita è diventato un argomento caldo durante la prima sessione della 10° Conferenza di Consultazione Politica del Popolo Tibetano, tenuta a Lhasa il 22 gennaio 2013.

Secondo il verbale dei lavori, in linea con il rapido sviluppo economico e sociale del Tibet, nel 2012 il governo regionale ha dato maggior priorità a migliorare la qualità della vita delle persone nel campo degli alloggi, dell'occupazione e del sistema previdenziale.

L'obiettivo dell'occupazione è stato raggiunto
Ma Xiangcun, direttore del Dipartimento Tibetano per le Risorse Umane e Sicurezza Sociale, anche deputato senza diritto di voto alla conferenza annuale ha detto che la nuova popolazione occupata a raggiunto il numero di 25,000 persone e ha registrato che la percentuale dell'occupazione urbana è aumentato del 2.6% nel 2012.

Alla fine del novembre 2012, 16,991 laureati su 17,274 ha trovato lavoro, la percentuale di occupazione tra loro è del 98.36%. Secondo Ma, questi dati mostrano di aver raggiunto il risultato secondo cui "i tibetani laureati raggiungono la piena occupazione e i laureati degli anni precedenti raggiungono fondamentalmente lo stesso risultato.

Il governo regionale ha anche attivato servizi pubblici per la ricerca del lavoro, trovando occupazione a 19,900 persone in difficoltà e 2,233 famiglie disoccupate sono riuscite a trovare lavoro.

Per raggiungere la completa occupazione dei tibetani laureati, il governo regionale ha anche implementato una serie di politiche di agevolazione per incoraggiare tutti i tipi di imprese e istituzioni ad aumentare la loro capacità di assunzione di laureati.

I laureati che hanno scelto di lavorare in imprese e istituzioni fuori dal Tibet hanno anche ricevuto sussidi.

Il sistema previdenziale è stato migliorato
Ma Xiangcun ha detto che le politiche relative al sistema previdenziale che copre sia i tibetani residenti nelle aree urbane che quelli nelle aree rurali è stato ulteriormente migliorato per soddisfare le necessità dei residenti. Nel 2012 è stato stanziato un totale di 2,38 miliardi di yuan contro vari tipi di rischio.

E' stato realizzato un nuovo sistema previdenziale e di ammortizzatori sociali per gli abitanti urbani e rurali di tutti i ceti economici.

Nel 2012, il sistema previdenziale ha soddisfatto la copertura di tutti gli abitanti. La media delle pensioni nelle nuove aree rurali è cresciuta del 91%. 2,3972 milioni di persone hanno goduto di vari benefici pensionistici, è il risultato migliore di sempre.

Nel 2012, il governo locale ha anche aumentato il pagamento del sistema previdenziale, aggiustando continuamente le pensioni base minime di otto volte, aumentando il valore procapite a 2,704 yuan, il più alto valore nel paese.

La pensione minima mensile nelle nuove aree rurali è stata portata da 55 a 90 yuan, mentre il numero per gli abitanti delle città era di 120 yuan.

La politica alloggiativa per i redditi più bassi è stata completamente migliorata
Chen Jin, direttore del Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano e Rurale della Regione Autonoma del Tibet, deputato senza diritto di voto alla conferenza annuale ha detto che il governo tibetano ha implementato una serie di misure volte a migliorare le condizioni di vita per i redditi medio-bassi, una di queste è la politica alloggiativa.
Alla fine del 2012, 70,000 pastori e contadini si sono trasferiti in nuovi alloggi a basso costo previsti dal progetto, secondo le rilevazioni dell'ufficio per la povertà della regione autonoma.

Il progetto è iniziato con un investimento previsto di 500 milioni di yuan. Al momento, la costruzione di 14,723 case è stata completata e le rimanenti 7,277 saranno finite l'anno successivo, quando più di 100,000 contadini e pastori poveri potranno trasferirsi nelle nuove case.

Per risolvere il problema degli alloggi per le famiglie a basso reddito, nel 2012, il governo locale ha abbassato di tre volte i canoni di affitto, nel frattempo il tasso di occupazione di questi alloggi è aumentato del 92%.

Traduzione dall'inglese di Andrea Parti

martedì 29 gennaio 2013

Monaco incita persone al suicidio


Mu Xuequan
Monaco incita persone al suicidio
ABA, Sischuan, 28 gennaio (Xinhua)
Di fronte all'accusa di omicidio, il monaco di alto rango Lorang Konchok non ha mostrato alcuna espressione quando si è seduto al seggio degli imputati in una corte nel suovest della Cina, nella provincia del Sichuan.

L'uomo di 40 anni e il suo nipote di 31, Lorang Tsering, sono stati accusati di aver incitato otto persone ad autoimmolarsi, tre di queste sono morte lo scorso anno. Sono stati processati sabato mattina dalla Corte intermedia del Popolo della prefettura di Aba.

Vestito con un piumino nero, dall'apparenza è difficile dire che questo monaco Geshe, un onorevole alto grado accademico per i monaci tibetani, abbia potuto sfruttare la sua posizione religiosa.

Vicino a lui, Lorang Tsering, con un cappotto invernale nero e blu scuro, sembrava confuso.

L'aula era composta da più di 130 persone incluse le famiglie, gli amici degli imputati, giornalisti e legislatori locali.

Gli avvocati erano stati nominati d'ufficio, dato che gli imputati avevano deciso di non assumerne alcuno. Per il procedimento sono stati convocati anche traduttori tibetani. Il processo è stato condotto sia in mandarino che in tibetano.

Un procuratore ha letto il verbale dell'interrogatorio di Lorang Konchok, dicendo che ricevette una chiamata da Samtan, una vecchia conoscenza che vive all'estero, dopo che il monaco del monastero Kirti, di nome Tapey si autoimmolò nel 2009.

Samtan chiese a Lorang Konchok di incitare molte altre persone ad autoimmolarsi, di raccogliere e spedire all'estero informazioni sui suicidi.

Samtan, 31 anni, scelse di seguire Lorang Konchok come maestro al monastero Kirti e poi lasciò il paese illegalmente. Adesso è una figura chiave di "Squadra di collegamento mediatico del monastero Kirti" un'organizzazione all'estero per "l'indipendenza del Tibet" della cricca del Dalai Lama.

Le prove della polizia hanno mostrato che Lorang Konchok ha fatto 95 telefonate a vari numeri all'estero, incluso un numero indiano da gennaio ad agosto 2012.

Il procuratore ha detto che Lorang Konchok ha chiamato i suoi contatti all'estero ogni volta dopo i cinque casi di autoimmolazione avvenuti a Aba, durante questi mesti

Lorang Konchok ha occasionalmente annuito durante l'interrogatorio e non ha mosso obiezioni alle accuse.

Ha confessato che, usando la posizione di Geshe, ha detto ai monaci locali e seguaci che l'autoimmolazioni non erano contro le dottrine buddiste e coloro che le praticavano erano degli "eroi".

Secondo la sua deposizione in tribuale, Lorang Konchok ha anche promesso di promuovere le loro azioni all'estero attraverso i suoi contatti, così che le famiglie fossero conosciute ed onorate.

Quando gli è stato chiesto se avesse mai pensato ad autoimmolarsi, replicò: "Non oso. Ho paura della morte. Ho paura del dolore".

Tra le persone che si sono date fuoco, sotto l'influenza di Lorang Konchock, c'erano due giovani monaci. Lorang Tsedrup di 23 anni, Tsenam di 19, come anche Jokba il pastore diciannovenne di Aba. Sono tutti morti.

Secondo i pubblici ministeri, Jokba fu presentato a Lorang Konchok da Lorang Tsering. Lorang Konchok aveva continuato a parlargli della nobiltà dell'autoimmolazione e promesso di mandare un suo messaggio alla famiglia dopo la sua morta.

Nella loro dichiarazione di chiusura, i pubblici ministeri hanno detto che Lorang Konchok e Lorang Tsering hanno infranto la legge, violanto la coscienza e la dottrina buddista dell'Ahimsa, o "non uccidere".

Hanno anche detto che, secondo il diritto penale, ogni vita umana è sotto la protezione della legge e privare qualcuno della sua vita è illegale e omicidio intenzionale.

Quello che i sospettati hanno fatto è una sfida alla legge cinese e un atto di estrema indifferenza nei confronti della vita di altre persone, dannosa per l'armonia etnica e la stabilità sociale delle regioni abitate da tibetani.

Hanno commesso il crimine in Cina sotto direzione estera e le informazioni che hanno spedito oltreconfine sono state diffuse dai media internazionali, causando un impatto negativo.

I due sospetti si sono dichiarati colpevoli e hanno espresso rammarico per l'accaduto, i loro avvocati hanno chiesto una riduzione della pena.

Dopo quattro ore di processo, la corte si è aggiornata.

"Lorang Konchok ha infranto la legge", ha detto dopo il processo ai giornalisti Jamtso, il fratello di 45 anni di Lorang Konchok.

Surchung, lo zio di Lorang Tsering da parte di madre, ha detto alla Xinha che spera che Lorang Tsering possa migliorare se stesso in prigione.

"Non ha studiato molto. Non conosce le leggi", ha detto Surchung "Spero solo che la sua vita possa diventare migliore e più stabile".
 
Traduzione dall'inglese di Andrea Parti
 

lunedì 28 gennaio 2013

Storia di un potenziale autoimmolatore

Il presente post tratta una serie di articoli del sito tibet.cn, riportati in questi giorni da CCTV e riguardanti una testimonianza sul fenomeno delle autoimmolazioni di giovani monaci in Tibet.


 Storia di un potenziale autoimmolatore
Zhang Hao

Nota: Un comune giovane tibetano, un giovane lama praticante il buddismo, che si è quasi dato fuoco, è stato abbandonato dai suoi istigatori. Che ruolo gioca il "governo tibetano in esilio" in questa causa? Che bugie e che verità sono nascoste dietro le fiamme? Oggi, Cina Tibet Online pubblicherà la storia di un giovane buddista, un potenziale autoimmolatore.

Sono stato costretto dal "governo tibetano in esilio"
Nell'occasione del cinquantesimo anniversario della pacifica liberazione del Tibet nel maggio del 2001, fu riportato dai media un tentativo di autoimmolazione messo in atto da Gyatso e incitato dalla cricca del Dalai Lama.

Mettendo in atto le istruzioni del Dalai Lama e dei suoi seguaci, fu ordinato al giovane di darsi fuoco nella piazza del tempio di Jokhang a Lhasa mentre Thubten, il suo "assistente" doveva fotografare la scena e mandare la registrazione ai media stranieri.

Ma, a causa di una fuga di notizie, Gyatso e Thubten furono catturati e incarcerati dalla polizia, sancendo il fallimento dell'autoimmolazione.

Gyatso è un "eroico combattente per l'indipendenza" o soltanto uno strumento politico nelle mani del Dalai Lama? Che ruolo ha Gyatso nell'imprevedibile macchinazione?

Dobbiamo rilevare che, una volta che l'episodio dell'autoimmolazione è venuto alla luce, il governo tibetano in esilio, istigatore della vicenda, ha immediatamente pubblicato un articolo del suo "portavoce" sul suo sito ufficiale chiarendo la "verità". Ha immediatamente negato di aver incitato persone ad autoimmolarsi e ha indicato che questa pratica è contraria alla disciplina buddista.

Quando questa dichiarazione è stata rilasciata sul sito, Gyatso non ha potuto credere che, il "Dusum Legong" (o il dipartimento per la sicurezza del "governo tibetano in esilio") che lo ha condotto passo dopo passo nel campo dell'autoimmolazione, lo avesse abbandonato.

"Sono dispiaciuto che mi abbiano abbandonato. Non possono negare. Come possono dire che non avevano niente a che fare con me?" ha detto Gyatso con rabbia, sottolinendo di voler raccontare la sua storia per informare la gente.

Non si torna indietro
Nato nella provincia del Qinghai nel nordovest della Cina, Gyatso, il cui nome laico è Rigzin, non pensò mai di intraprendere un sentiero senza ritorno quando lasciò la casa all'età di 19 anni e diventò un monaco nel monastero di Tsangar, nella circoscrizione di Tongde, nella prefettura autonoma tibetana di Hainan della provincia di Qinghai. Da allora, ha sempre sognato di essere un monaco colto e rispettabile, grazie al duro lavoro.

I dodici anni passati nel monastero di Tsangar sono stati gli anni più felici della vita di Gyatso. Imparando dai maestri, chiaccherando con i suoi amici monaci e occasionalmente andando a casa a trovare la sua famiglia. Gyatso non aveva problemi a quei tempi.

La quieta vita nel monastero di Tsangar lo tagliò fuori dalla noia del mondo esterno. A quei tempi la sua idea e il suo obiettivo erano imparare bene le scritture e migliorare in modo ulteriore la sua conoscenza. Amava la vita lì e considerava il monastero come la sua casa.

Ma la vita cambiò immediatamente quando Gyatso ricevette lettere dai suoi concittadini o amici monaci che erano stati in India. In queste lettere si vantavano sempre di che vita stupenda stavano vivendo in India, la più importante di queste diceva che laggiù "potevano imparare molte cose ed aumentare il grado di conoscenza".

Con il sogno di diventare un "monaco colto e rispettabile", Gyatso andò finalmente nel cosiddetto "Grande Mondo"-Dharamshala, una piccola stazione collinare nell'Himachal Pradesh in India, dove si trovava anche il quartier generale del "governo tibetano in esilio".

Avendo sempre sognato di andare all'estero per migliorare ulteriormente gli studi e immergersi nella compassione buddista, Gyatso non avrebbe mai potuto pensare che non avrebbe imparato niente riguardo la vera essenza del buddismo ma che avrebbe invece rischiato di perdere la propria vita.

Dharamshala non è una perfetta Arcadia ma un abisso, dove le sacre scritture erano rimpiazzate dai "lavori" del Dalai Lama a sostegno dell'"indipendenza del tibet" e finzioni cinematografiche incitanti all'autoimmolazione sostituivano le predicazioni buddiste. Come molti giovani monaci che andarono laggiù, Gyatso perse gradualmente se stesso attraverso il forte impatto della propaganda e del lavaggio del cervello.

A Dharamshala, prese parte per tre volte a scioperi della fame volte incitando al "governo tibetano in esilio", la terza volta gli fu affidato un compito importante. "L'eroe raro" doveva "fare qualcosa di grande".

Il "governo tibetano in esilio" elaborò i progetti di autoimmolazione per Gyatso, ma i primi due tentativi fallirono a causa delle rigide precauzioni della polizia indiana e di una visita di leader statunitensi.

Gyatso era determinato a portare a termine la "grande causa" e non voleva essere ridicolizzato per il suo fallimento. Finalmente, ebbe un'altra possibilità. Fu mandato a Lhasa a commettere l'autoimmolazione nella piazza del tempio di Jokhang per la "causa indipendentista".

Dalla prima volta dove acquisì la "passione" per le autoimmolazioni, alla seconda volta dove si sentì ingannato, alla terza dove torno in Tibet per autoimmolarsi, Gyatso intraprese, senza possibilità di scegliere, un percorso senza ritorno.

Ancora oggi, l'autoimmolazione nella piazza del tempio di Jokhang a Lhasa per Gyatso il potenziale suicida, è l'ultima cosa di cui vorrebbe parlare.

"Ogni volta che penso alla scena dell'autoimmolazione, sento sempre il mio cuore bruciare, come anche il mio corpo avvolto dalle fiamme con eccezione della mia testa. Provo uno sforzo doloroso e non posso ne vivere ne morire" ha detto Gyatso.

La storia del giovane lama che una volta sognava di "sacrificare se stesso alla religione", lascia solo dubbi, shock e profonda commozione nella mente delle persone.

Come studioso a tempo pieno delle sacre scritture buddiste, un giovane pieno di speranza venuto da un remoto villaggio e figlio di un onesto mandriano, Gyatso non si perse mai in cose triviali, e provò sempre a volare via dalla sua città per raggiungere una grande causa e diventare importante.

Questa è la vera riflessione di Gyatso prima che il suo fato cambiasse repentinamente.

Ma a Dharamsala, dov'era anche il quartier generale del "governo tibetano in esilio", Gyatso, il giovane uomo con un cuore puro fu in trappola. Era perso nella falsa aura creata dalla cricca del Dalai Lama, e dette se stesso per un'illusoria "medaglia da combattente indipentente".

Così, Gyatso fu coinvolto nel mulinello politico, forzato da animi contorti ad uno stato di ignoranza. Fu trasformato in un estremista che sceglie il suicidio come più grande gioia.

Comunque, il giovane non sapeva di essere già stato abbandonato e buttato fuori dal tavolo della cricca del Dalai Lama.

In un'intervista, Gyatso disse che c'erano e ci sarebbero stati molti altri giovani impulsivi come lui che avrebbero potuto seguire il percorso dell'autoimmolazione se la cricca del Dalai Lama avesse continuato ancora a propagandare "l'indipendenza tibetana" attraverso tutti i tipi di mezzi di propaganda.

Sfortunatamente, quello che Gyatso aveva annunciato si è avverato oggi. Uno dopo l'altro, giovani si sono dati fuoco e hanno perso la loro vita sotto l'istigazione della cricca del Dalai Lama.
 
Confuso dal mentire
Una figura magra, pelle scura, i tratti del viso regolari con sopracciglia prominenti, Gyatso è l'immagine di un ordinario nomade che vive nel Tibet settentrionale. E' difficile collegarlo ad un autoimmolatore.
 
Nato in una famiglia di mandriani nella provincia di Qinghai, Gyatso, il cui nome laico è Rizgin inizia la sua vita da monaco all'età di 19 anni nel monastero di Tsangar, nella prefettura della regione autonoma tibetana di Hainan.

Rispettando Budda fin dall'infanzia, Gyatso è sempre stato interessato allo "Tsema" del buddismo così come è stato disposto ad impararlo. Dopo aver sentito che in India un numero maggiore di monaci facevano ricerca sullo "Tsema" rispetto alla Cina, Gyatso decise di andarsene a Dharamsala ignorando l'opposizione della famiglia.

Cresciuto nell'isolata città natale, Gyatso non sapeva quali formalità erano necessarie per andare all'estero e, dunque, pagò per essere "aiutato".

Così, dopo aver pagato la tassa, Gyatso fu messo in una casa vicino al monastero Sera di Lhasa insieme a decine di uomini che volevano andare all'estero attraverso Laben, l'uomo che li fece entrare clandestinamente in India nel gennaio del 1999.

Alcuni dei clandestini erano adolescenti, che venivano da famiglie povere. I loro parenti presero in prestito denaro per mandarli all'estero, perchè gli era stato detto che in India la vita sarebbe stata molto migliore che in Tibet.

Molti di loro scappavano a Dharamsala perchè non potevano restare a casa per gli scarsi risultati scolastici o altri motivi.

Guardando tremare quei ragazzi nella fredda stagione, Gyatso sapeva che alcuni di loro non avrebbero mai più visto la loro famiglia.

In quel momento, non poteva evitare di smettere di pensare a suo padre, quello che poteva fare era pregare per lui in silenzio.

Sotto l'istruzione di Laben, Gyatso e gli altri clandestini attraversarono furtivamente il confine ed entrarono in Nepal. Il giovane lama era troppo spaventato per sapere come avrebbe attraversato il ponte che collega Cina e Nepal.

Dopo aver attraversato la frontiera, la prima fermata dei clandestini era "l'ambasciata del "governo tibetano in esilio", un edificio di tre piani a forma di gradini a Katmandu, la capitale del Nepal.

Laggiù, Gyatso e gli altri clandestini furono portati in stanze separate per rispondere ad alcune domande.

Dopo aver spiegato la sua condizione familiare e le ragioni per cui era emigrato in Nepal, a Gyatso furono chieste alcune domande "connotative".

Gli fu chiesto di come fosse orribile la vita in Cina e di elencare alcuni esempi di come gli "Han opprimessero i Tibetani".

Gyatso era confuso perchè non gli era mai capitato nella sua città natale. Non sapeva cosa doveva fare e rispose soltanto che non lo sapeva.

http://english.cntv.cn/20130125/102741.shtml
"Il popolo Han ha invaso il Tibet"
Dopo aver passato pochi giorni in Nepal, Gyatso e altri clandestini furono portati a Dharamsala, la destinazione finale.

Gyatso era scioccato dalla scena che vide quando mise piede a Dharamsala, dove i moderni palazzi residenziali, hotel e negozi sono mischiati insieme a bassifondi sporchi e fienili aperti.

La città composita che univa condizioni moderne e atmosfere fuori moda sembrava lontana dalla terra pura dove imparare il buddismo che Gyatso immaginava.

A Dharamsala, il primo passo per i clandestini era "l'ambasciata del governo tibetano in esilio in India", dove gli fu richiesto di parlare con un vecchio uomo.

La discussione non fu niente di nuovo ma sottolineava ripetutamente come "il popolo Han abbia invaso il Tibet", che confuse Gyatso che pensava che non avesse niente a che fare con lui.

Nella visione di Gyatso, l'unica ragione per cui era andato a Dharamsala era per imparare il buddismo, e sentire che "il popolo Han ha invaso il Tibet" lo fece annoiare. Tuttavia, questo tipo di discussioni, a cui hanno partecipato anche giornalisti stranieri, avvenivano ogni giorno.

All'inizio, le persone erano molto interessate alle esperienze di Gyatso e gli fecero un sacco di domande su Lhasa, sul popolo Han e sul governo tibetano. Ma si limitò a dire cose che non erano ritenute interessanti.

A Dharamsala, era molto difficile vedere il Dalai Lama, il cosidetto leader spirituale del "governo tibetano in esilio". A Gyatso fu detto che "sua santità" viaggiava sempre da un paese all'altro, ma era deluso da questo perchè non poteva capire il motivo dei suoi continui spostamenti.

Dopo, il giovane seppe che non era facile vedere il Dalai Lama anche se era a Dharamsala, chi voleva farlo doveva rispondere a molte domande e doveva essere controllato e perquisito.

Essere sospetti ed emarginati
Non molto tempo dopo l'arrivo il suo arrivo a Dharamsala, Gyatso ebbe la strana sensazione di sentirsi spiato.

Una volta, Gyatso voleva fare una foto vicino ai giardini dell'"ambasciata del governo tibetano in esilio in India". Appena si misero in posa, un uomo uscì dal palazzo e li guardò con sguardo sospettoso.

La gente a Dharamsala era diversa da quella dei suoi concittadini in Tibet. Molti giovani tibetani spesso giravano in abiti alla moda nei loro quartieri residenziali, nessuno di questi lavorava o studiava buddismo. L'unica cosa che facevano ogni giorno era oziare nelle sale da tè.

Non parlavano tibetano, e probabilmente non sapevano parlare bene inglese. Quindi, parlavano tibetano misto ad alcuni termini inglesi, ciò mise Gyatso a disagio. Alcune persone erano anche dipendenti da droghe.

Nella mente di Gyatso, la vita laggiù era lontana dalla quiete e dalla semplicità di casa che aveva conosciuto, senza preoccupazioni, studiando il buddismo al monastero di Tsangar.

I nuovi venuti come lui, si sentivano diversi, diventavano profondamente indifesi, "emarginati".

Come Gyatso, molti "emarginati" erano arrivati lì inseguendo il sogno religioso. Venivano nella città sul confine indiano trascinati dalla venerazione del buddismo e col desiderio di ottenere le più alte conquiste.

Tuttavia, questi ragazzi intrapresero percorsi diversi dopo che i loro illusori sogni religiosi furono interrotti dalla realtà.

Secondo le indagini in India divulgate dal Congresso americano, dal 1986, molti tibetani all'estero sono tornati in Cina. D'altro canto, erano ostili alla propaganda lanciata dalla cricca del Dalai Lama; inoltre non erano capaci di mantenere una vita di base nei paesi stranieri.

Ma altri come Gyatso erano troppo giovani per fare una distinzione tra giusto e sbagliato, e la saggezza datagli da Buddha era insufficiente per distinguere il bianco dal nero. Per questo, intraprese un percorso privo di umanità, il sentiero dell'autoimmolazione.

Sfortunatamente, Dharamsahala, la piccola città nell'Himachal Pradesh, quartier generale del "governo tibetano in esilio", non era il paradiso sognato da Gyatso, ma un "tumore" che diventava sempre più maligno.


Diventai uno scioperante della fame professionista
Non molto dopo il suo arrivo in India, Gyatso divenne monaco in un monastero locale.

Un giorno, vide qualcuno distribuire volantini su cui era scritto che lo sciopero per la fame per "l'indipendenza del tibetana" sarebbe iniziato nel gennaio 2000, a Delhi; chiunque fosse stato interessato avrebbe potuto parteciparvi dopo aver firmato un "giuramento". Molti dal monastero andarono a Delhi e videro il "grande mondo" gratis. Tutti seguirono l'esempio e firmarono il giuramento, Gyatso non fù l'eccezione.

A quel tempo, "sciopero della fame" era una nuova parola per Gyatso; imparò in seguito da un maestro del sutra che significa protestare senza mangiare niente per esprimere le proprie attitudini determinate. Un maestro del sutra vissuto a lungo in India non era d'accordo che Gyatso prendesse parte alla protesta, ma era riluttante di spiegargli le ragioni. Il giovane Gyatso, che era nel periodo ribelle dell'adolescenza, litigò con il maestro e decise infine di andare a Delhi.

Dopo l'arrivo a Delhi, Gyatso fu ricevuto da un uomo chiamato Lhamo Ja, che scappò in India per alcuni comportamenti illegali.

Secondo i relativi materiali accertati in seguito, Lhamo Ja, nato nella circoscrizione di Tongren, prefettura autonoma tibetana di Huangnan, fu un insegnante in una scuola di legge nel nordovest della provincia cinese del Qinghai.

Nel 1993, fu coinvolto in un procedimento penale e fuggì in India. In seguito Lhamo Ja diventò membro della cricca del Dalai Lama, e si impegnò in attività separatiste.

L'ufficio degli "scioperanti della fame" era in un edificio di due piani di una scuola locale. Gyatso non aveva mai pensato di essere l'unico partecipante, pensava invece che ci fossero molte persone coinvolte.

Dopo aver compilato un modulo e aver ricevuto una tenda e un tappeto provvisti dall'organizzatore delle manifestazioni, Gyatso partecipò ad uno sciopero della fame di 72 ore.


 
Il giovane lama ricorda di aver partecipato a tre scioperi della fame, solo la prima volta come volontario. Per "volontario" si intende senza ricompensa economica.
La seconda e la terza volta fu pagato per rimpiazzare altri partecipanti.

Subito dopo il primo sciopero della fame, Lhamo Ja si precipitò a cercare Gyatso e gli disse che doveva prendere parte al secondo sciopero perchè non c'erano abbastastanza persone disposte a partecipare. Successivamente, Gyatso ricevette 500 rupie nepalesi. La terza volta, accadde lo stesso. Allora il ragazzo capì che la maggior parte degli scioperanti era pagato.

Durante il secondo sciopero della fame, uno dei manifestanti gli disse che poteva mangiare qualcosa in segreto se non era in grado di resistere alla fame, disse anche che gli organizzatori erano favorevoli a questa pratica perchè gli avrebbe permesso di manifestare più a lungo. Gyatso era sorpreso e mangiò un pezzo di carne senza farsi vedere.

Il terzo sciopero della fame fu tenuto davanti alla tomba di Gandhi, gli avevano detto che lì molte più persone avrebbero potuto vedere la protesta. Gyatso era diventato abbastanza bravo e riuscì a mangiare una banana senza farsi vedere.

Poi, capì chiaramente che gli scioperi della fame erano un'azione fatta per essere mostrata agli estranei. Per questo erano pagati e avevano il permesso di mangiare.

Nella mente di Gyatso, questa attività era una specie di truffa. Comunque non rifiutò il compito anche se per lui costituiva un guadagno illecito.

In seguito, lesse sui giornali locali articoli relativi ai tre scioperi della fame che sostenevano che il numero di partecipanti aveva superato 600 persone. Avendo preso parte lui stesso alle manifestazioni, Gyatso sapeva chiaramente che partecipavano in meno di dieci persone alla volta.

E' cosa nota che, oltre ad instigare all'autoimmolazione e a manifestazioni di protesta, lo sciopero della fame è uno delle molti metodi del cosiddetto "governo tibetano in esilio" di accaparrarsi l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e pubblicizzare "la questione tibetana".

Tutte le speciali organizzazioni per "l'indipendenza del Tibet" sono responsabili di organizzare agitatori professionisti, attraverso cui possono abusare della compassione del mondo che non è a conoscenza della verità, così da influenzarne l'opinione pubblica.

L'esperienza di Gyatso è solo uno dei tanti casi.

Questi tre scioperi della fame lo portarono ad abbracciare il punto di vista del "governo tibetano in esilio", trasformandolo nella "preda" che stavano cercando da molto tempo e senza risultati.

Il giovane e ignorante monaco Gyatso fu messo nelle liste dei "potenziali autoimmolatori". Dietro di lui, qualcuno stava ordendo una grande cospirazione coperta nell'ombra. Cosa lo convinse a seguirla? E come fu incitato a seguire il percorso dell'autoimmolazione? Perchè fallì le prime volte?

http://english.cntv.cn/20130122/102771.shtml
Autoimmolazione rimandata a causa degli americani
Dopo aver partecipato a tre scioperi della fame a pagamento, Gyatso si avvicinò alla "Federazione Sanqu", un organizzazione che sostiene molte attività per "l'indipendenza del Tibet". Poco dopo, un membro di questa organizzazione cominciò ad incitarlo a commettere l'autoimmolazione.

"Hai partecipato a tre scioperi della fame, non sei una persona comune. C'era un uomo che si dette fuoco, causando grande scalpore in tutto il mondo. Ora, dovremmo avviare qualcosa di simile per attirare l'attenzione del mondo. Tutti quelli che si danno fuoco diventano eroi immortali. Avresti il coraggio di autoimmolarti davanti all'ambasciata cinese in India?" Chiese Lhamo Ja a Gyatso.

Per persuadere il giovane, Lhamo Ja tenne uno speciale incontro, a cui fece partecipare molti membri della "Federazione Sanqu". Lhamo Ja disse a Gyatso: "Se dai la tua vita, il governo in esilio, il Dalai Lama e tutti i tibetani saranno fieri di te! Non avrai niente da rimpiangere se capisci che è un atto glorioso. E mi occuperò io stesso dei piani per te".

A quei tempi, Gyatso aveva una una bruttissima visione del popolo Han e del governo centrale cinese a causa del lavaggio del cervello fatto grazie ai numerosi video e libri di propaganda del Dalai Lama. In più, con l'istigazione di Lhamo Ja davanti a molte persone, Gyatso si agitò e decise di sacrificare se stesso per "la causa tibetana".

Questo, ha ricordato più tardi Gyatso, era il modo in cui i sostenitori dell'"indipendenza del Tibet" incitavano i semplici nuovi venuti. Dopo che si era vantato di poter commettere l'autoimmolazione, non poteva più tornare indietro.

Pochi giorni dopo questo incontro, Lhamo Ja disse a Gyatso di autoimmolarsi il 10 di marzo; una data scelta con attenzione. Il 10 marzo è il cosiddetto "giorno della rivolta del Tibet", ogni anno in questa ricorrenza vengono lanciate molte attività anticinesi e arrivano molti giornalisti esteri. Il Dalai Lama avrebbe anche tenuto un discorso.

Pertanto, autoimmolarsi quel giorno avrebbe significato dare una grande influenza alla "questione tibetana" e il "governo in esilio" sarebbe stato soddisfatto.

Prima dell'autoimmolazione, Lhamo Ja e altre persone registrarono un video di Gyatso, che sarebbe stato spedito alle Nazioni Unite.

Comunque, il giovane, il protagonista dell'autoimmolazione non aveva assolutamente idea di cosa fosse l'ONU, pensava genericamente a un'istituzione con grandi poteri.

Ricordò di essere stato portato in un ufficio a registrare il video; durante le riprese gli fu chiesto di leggere una dichiarazione che conteneva delle richieste compresa una che chiedeva al governo cinese di rilasciare "i prigionieri politici".

Dopo aver finito di registrare, il giovane lama andò a vivere gratuitamente in un albergo di ottimo livello, in attesa di ordini.

Il 10 marzo, Gyatso fu avvisato da un membro della "Federazione" che l'autoimmolazione era cancellata perchè nelle strade c'erano troppi poliziotti indiani che avrebbero potuto interrompere il gesto.

L'azione fu posticipata alla fine di marzo, quando sarebbe stato tenuto in India un importante incontro sui diritti umani. Prima del 25 marzo, Gyatso fece una prova sul posto.

Prima che la prova iniziasse, il ragazzo non aveva assolutamente idea riguardo al tipo di benzina da usare ne a come comportarsi. Lhamo Ja aveva redatto diversi schemi per lui e gli spiegò i dettagli specifici, come vestirsi, dove mettere la benzina e come darsi fuoco. In una parola, si erano scervellati per il successo dell'autoimmolazione.

Gyatso fu scioccato dai loro schemi dettagliati, gli sembrò che non stessero parlando di autoimmolazione, ma di un atto ordinario e quello che stavano per bruciare non era un corpo umano, ma stracci di vecchi vestiti.

Ma il giovane sapeva di aver preso un sentiero senza via d'uscita; che era troppo tardi per tornare indietro e che avrebbe subito ritorsioni se avesse rinunciato. Quindi le sue preoccupazioni crescevano via via che si avvicinava al 25 marzo. In seguito, ricevette un messaggio che diceva che l'autoimmolazione era rimandata ancora una volta perchè un leader americano era in visita in India.

Lhamo Ja disse:"Abbiamo deciso di cancellare l'autoimmolazione perchè gli Stati Uniti ci hanno dato un grande aiuto e non dobbiamo creargli nessun tipo di problema. Ma ti posso assicurare che avrai l'opportunità di contribuire alla causa dell'indipendenza. Ti prego di aspettare le mie prossime informazioni per un piano ancora più grande".

In questo modo, Gyatso fu libero ancora una volta dalla morte. I due piani falliti di autoimmolazione erano prove prima che fosse mandato in Tibet.

Da giovane monaco che voleva imparare le sacre scritture, a essere coinvolto nella propaganda per "l'indipendenza del Tibet, partecipando a scioperi della fame a pagamento, a essere un potenziale autoimmolatore. Gyatso era ignorante, non aveva il tempo, la consapevolezza di pensare alle profonde conseguenze e ragioni che erano nascoste dietro a quello che gli stava accadendo.

La sua mente semplice e i suoi impulsi sono diventati la debolezza sfruttata dall'organizzazione per "l'indipendenza del Tibet". Come altri giovani tibetani, Gyatso era un entusiasta e devoto ragazzo che non aveva ancora maturato una visione autonoma del mondo.

Essendo nato in un'area remota, era facile trapiantargli un'altra visione prima che potesse distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Tutto questo ha causato la tragedia della sua vita.

L'organizzazione per "l'indipendenza del Tibet" avrebbe lasciato stare Gyatso dopo il fallimento di due tentativi o avrebbe prodotto una cospirazione ancora più grande?

Dopo aver fallito due autoimmolazioni, Gyatso si calmò gradualmente e sviluppò una paura per il suo futuro. Tuttavia non era ancora riuscito ad uscire dalla follia che lo aveva trasformato da giovane lama a fanatico suicida che sognava di "sacrificare se stesso alla religione".

Pochi giorni dopo i due piani falliti, Lhamo Ja incontrò nuovamente Gyatso e gli disse che gli portava buone notizie, dicendogli che aveva ricevuto istruzioni di Ala Jigme, un alto funzionario del "Dusum Legong" (o il dipartimento di sicurezza del "governo tibetano in esilio"), di mandarlo in Tibet ad autoimmolarsi, così da creare maggiore influenza.

Dopo aver sentito quelle parole, Gyatso esitò ed era riluttante di tornare in Tibet dato che aveva infronto la legge per andare in India e non sapeva cosa gli sarebbe accaduto se fosse stato arrestato.

Lhamo Ja era un po' arrabbiato dall'atteggiamento. Comunque, invitò alcune personalità ad incoraggiare il giovane.

Una notte, Gyatso fu ricevuto da Kalon Pema, un alto funzionario del "Dusum Legong". Da quando era in India, era la prima volta che incontrava una personalità così importante.

A quei tempi il giovane lama era confuso e finalmente incontrò qualcuno che era determinato a sacrificarsi per sei milioni di tibetani.

Kalon Pema disse a Gyatso: "Sei stato scelto per autoimmolarti a Lhasa, una città sotto il controllo del governo centrale cinese. Quindi sarà responsabilità della Cina spiegare la tua lotta per "la causa dell'indipendenza". In questo modo avremo un'attenzione universale e il supporto della comunità internazionale. Tu diventerai un eroe e sarai ammirato dal popolo tibetano".

Kalon Pema disse inoltre che, i familiari o amici che avrebbero spedito in India le registrazioni e le fotografie della sua autoimmolazione, avrebbero avuto un trattamento preferenziale e sarebbero potuti venire all'estero per migliorare le loro condizioni di vita.

"Comunque, se sarai arrestato, non dire niente riguardo a noi o metterai in cattiva luce il governo tibetano in esilio. E non tornare indietro se non riesci a portare a termine la tua missione", disse Kalon Pema.

Gyatso si sentì molto arrabbiato per quello che gli era stato detto, perchè nella sua mente si stava sacrificando per "l'indipendenza del Tibet". Come poteva portare in cattiva luce il "governo Tibetano in esilio"?

Comunque restava dell'idea che il Dalai Lama lo appoggiasse, quindi il "governo tibetano in esilio" non lo avrebbe abbandonato. Per questo motivo obbedì all'ordine.

In linea con quanto detto nel meeting con l'alto funzionario, Gyatsto fu mandato in Nepal.

Lì ricevette circa 8000 dollari per rientrare in Tibet sotto falso nome.

Andò a Lhasa con un uomo, chiamato Thubten, che fu designato dal "Dusum Legong" per fotografare la scena dell'autoimmolazione di Gyatso.

Comunque, nonostante la scrupolosa preparazione, i due furono arrestati prima di arrivare a Lhasa. Il ragazzo fu portato alla stazione di polizia, era estremamente nervoso e non aveva con se nessun documento.

Che tipo di sanzione affronterà dopo essere l'arresto? Thubten sarà affidato alla giustizia? Gyatso, il giovane lama che aveva vagato tra la vita e la morte, non fu ne il primo nell'ultimo fanatico fuorviato i cui impulsi irrazionali erano controllati da determinate persone per determinati fini.

La domanda di come evitare ai giovani simili tragedie resta senza risposta.

Traduzione dall'inglese a cura di Andrea Parti

domenica 27 gennaio 2013

Manifestazioni "non violente" degli attivisti "free tibet" a Parigi

Parigi, Aprile 2008
Manifestanti "non violenti" della campagna free Tibet assaltano una ragazza disabile, Jin Jing, tedofora per le Olimpiadi di Pechino.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 

lunedì 7 gennaio 2013


Self-immolation truth: Tibetan Buddhism kidnapped by politics

http://news.xinhuanet.com/english/china/2012-07/18/c_123431061.htm

Editor's note: As copy-cat self-immolations in Tibetan areas in China grabbed the world's attention over the past year, the Dalai Lama has failed to demonstrate his authority as a "spiritual leader of Tibetans" when he avoided to call for a stop of such self-destruction.

The following story, based on investigations of Xinhua reporters in Tibet, Sichuan, Gansu, and Qinghai, is expected to help readers understand the truth behind the blaze as well as the Dalai Lama' s "nuetral" stand on self-immolations.

Highlights: [ * Copycat suicides spread, triggering public concern that teenagers and other vulnerable people are at risk;


* It's a political game that sacrifices young Kirti monks to call for the Dalai Lama's return

* Double-dealing in the guise of non-violence jeopardizes Tibetan Buddhism

ABA, Sichuan, July 18 (Xinhua) -- Buddha Sakyamuni has inspired his followers to hang on whatever adversity they might encounter, the series of clergy self-immolations at the Qinghai-Tibetan Plateau, however, are misleading devout Tibetan Buddhists to think that it's permissible to give up hope and their lives so long as they follow suit.

In one of most recent cases, Rechok, 35, a mother of three who lived in the Chatuo village of Rangtang of Aba, committed suicide by setting herself ablaze in the afternoon of May 30 and died on her way to a local hospital.

Police investigations showed Rechok had been caught up in a family feud with her alcoholic husband Namsetong. The couple been viciously arguing overnight, which aggravated the mother's pains from losing his eldest son Dropurang who ran away days before to become a monk despite the mother's objection.

Rechok's suicide was not politically motivated, according to police.

Still, her death was branded as a "protest at the growing influence of Han China in the Tibetan plateau" by the Free Tibet, an overseas group advocating Tibet independence, and used as an excuse by the Tibetan government-in-exile to attract international attention to the so-called "Tibet issue."

In mid-March, Sangpo Dondrup, a third-year student in a middle school of Sertar county of neighboring Ganzi prefecture, was found foaming at the mouth and groaning on the downtown Jingyuan Road, smelling of gasoline.

Police investigations later showed he had attempted self-immolation. The oldest of seven, Sangpo Dondrup felt stressed as his illiterate father had been harshly pressing him to get good grades since he entered middle school in 2009.

Feeling stuck in his study, the teenager stole fuel from his father's motorcycle. He swallowed some of it and splashed rest of the gasoline on his clothes and then went to the street. However, he failed to set himself alight.

"I didn' t know that it was so awful to swallow the gasoline," he said, scratching his hair in embarrassment.

At noon every Saturday, Sangpo Dondrup said he would walk around the nearby pagoda of Padmasambhava who established Buddhism in Tibet in the eighth century to pray.

Unwilling to make do with a vocational school, he said he would consider restudying the third year if he failed the entrance exam for senior high schools. "My goal is college," said he.

Xu Kaiwen, who holds a PhD in clinical psychology from Beijing University, has been involved in suicide intervention for more than 10 years. He said that individual suicides can be contagious. When someone with public influence, such as the Tibetan clergy who are supposed to enlighten the average public to be free from all sufferings, were involved, the demonstration effect will be undoubtedly stronger.

"Teenagers aged 18-22 and the stressed are the most prone to copycat suicides as they are impulsive and lack self-control. Whether they spread mainly hinges upon the public explanation of suicidal behaviors. If suicides are hailed as martyrs or heroes, it can easily cause others, especially teenagers, to follow suit," said Xu.

To ward off the potential harms of clergy self-immolation to young Tibetans whose formidable ages are spent in a religious climate unparalleled anywhere else in China, the Education Bureau of Sertar County added a course on Life in all schools the following month.

"The objective of this course is to teach students to cherish their lives. Everyone here knows that Buddha Sakyamuni spent his whole life exhorting people to refrain from killing others and committing suicides, we can' t afford to have this young generation misled," said Chen Hu, chief of the Sertar Education Bureau.

The worry of parents and teaching faculty spreads, however, on the heels of Tibetan clergy who set themselves on fire. On March 30, in front of a downtown telecommunication outlet in Tuanjie Road of Barkam, the capital of Aba prefecture, Chimed Palden and Nganlam, both from the Caodeng Monastery of Gelug sect, burned themselves while hundreds of students of the nearby primary and junior high schools were on their way home during lunch break.

Li Yong, a teacher of the Barkam No. 2 Primary School, said some students dared not to return to school that afternoon as the sight was too shocking.

"Students are panicky. I keep telling them neither to imitate those monks nor to join the crowd to watch if anything similar happens on their way home or to school," said Li.

As self-immolation cases often attracted crowds which sometimes could turn chaotic, Tseten Serjig, whose child is among those who witnessed the burnings, said that she was very concerned about the safety of children and hoped the school authorities would strengthen student protection and escort students home.

"I feel very indignant. Thanks to the many good government policies, Tibetan-populated regions have never developed so fast and our livelihoods has been improving. Why would those monks give up their life so radically to jeopardize social harmony?" said the Tibetan mother.


POLITICAL GAME

Stepping into Aba county, where most self-immolations have taken place recently, one can get close to understanding the answer.

A total of 20 Tibetans, including eight monks, two nuns, eight former monks and two lay people, mostly aged from 16-25 except two, had committed self-immolation since Feb 2009 here. Of them, fifteen died and five were under hospital treatment, according to local police.

Across the country, the total number of Tibetan who had committed self-immolation exceeds 30, all in Tibetan populated regions.

The two most well-known people who committed self-immolations are Tapey, who triggered the latest wave of self-immolation by setting himself on fire at the age of 20 on Feb. 27, 2009, and Phuntsog, 19, who ended his life in a pre-meditated self-immolation on March 16, 2011. Both came from a capital-strained single-parent family, received little formal education and grew up in the Kirti Monastery from an early age, according to police.

Tapey is now recovering and refused to touch upon the subject of self-immolation with visitors. The hospital in charge of his medical treatment has paid in advance more than 2 million yuan, but the chances for him to fully recover are slim, doctors said.

In the latter case, police found that days before the self-immolation was committed, Kirti monks Rabten and Dorje had used a desktop of an Internet cafe to communicate with Chodrum, a member of the media relations team of Shiwa Dratsang where the Kirti Living Buddha resides, to send photography of Phuntsog.

With some 2,000 monks, Kirti Monastry is historically connected with 50 or so Tibetan temples, big and small, including the Caodeng Monastery involved in the Barkam tragedy.

Kirti Living Buddha fled with the 14th Dalai Lama after a failed insurgency in March 1959 and has since lived in Dharamshala, India, to orchestrate secessionist activities.

Since the late 1970s, 168 monks have been found to have illegally left to India. A number of them have dedicated themselves to disseminating among young monks a sense of separatism, brainwashing them to confront the government, according to sources with the Aba police authority.

Less than one hour after the self-immolation, Phuntsog was promoted throughout the overseas Tibetan community as "a martyr in protest of the Han Chinese rule and repression in Tibet," police said.
 
At that time, however, a competition concerning the life and death of Phuntsog was going on in Aba between the police and Drongzhug, Phuntsog's uncle and teacher who later admitted to the police that he had arranged for an overnight transfer of his seriously injured nephew from the home of a Tibetan doctor up onto a sky-burial in Yunlong village, a religious site for burial ceremony during which the body of the dead would be dismembered by a burial master and left for birds to feed on.

Left unattended in the freezing cold for 11 hours, Phuntsog was only just breathing when he was spotted by the police and sent to the People' s Hospital of Aba County.

Surgeon Wang Defu said that emergency treatment was crucial in the first few hours. Treatment delay, large-area body surface and respiratory burns led to Phuntsog's death.

During a public trial, Dongzhug called himself "legal illiteracy," saying he had never been to school and was unaware of his infringement of the laws. Dongzhug and another two Kirti monks responsible for Phuntsog's death were accused of homicide and each sentenced to 10-13 years in jail.

"Why did Dongzhug hide Phuntsog? They didn't want him to be cured otherwise they would be unable to use his death to raise the anti-China morale across Tibetan community," said an official close to the case.

Criminals were brought to justice but the overseas splitting forces wouldn't give up. On August 20, Students for A Free Tibet, a New York-based organization advocating Tibet independence, honored Phuntsog together with Tsewang Norbu, a 29-year-old monk of the Nyitso Monastery in Daofu county who died shortly after setting himself on fire on August 15, with the Lhakar Award, praising the two's "unimaginable sacrifice and courage...in protest of the Chinese government's repression and for the freedom of Tibet."

The Tibetan word "Lhakar" literally means "White Wednesday," a weekday considered special by Tibetans because it is the soul-day of the Dalai Lama, the group has preached, calling for more acts of defiance and resistance in Tibet.

Less than one month later, Phuntsog's brother Katrang, aged 18, and Kunchok Tenpa, 16, both from the Kirti Monastery, imitated such unimaginable sacrifices but were rescued by the patrolling police on September 26.

Apart from being tempted by the heroism played up overseas, police say that young Kirti monks must also cope with senior lamas who pulled the strings from within.

In a seemingly casual talk, Rala Lodro, a 40-year-old painter and lama from Longzang village of Aba county, approached Katrang and Kunchok Tenpa while they were eating sunflower seeds in the monastery courtyard, and advised them to commit self-immolation during the daytime.

"Our life is bad now. It would be better to commit self-immolation to become a wisp of smoke. Do not burn at night otherwise the Communist Party will be happy because America's cameras above the Kirti Monastery can not capture it," Rala Lodro was quoted as saying in the oral confessions Xinhua obtained.

A Kirti monk asking not to be identified said that there had been invisible pressure upon the young monks to do something they could.

With most of its registered monks on a two-month-long leave to help their families dig worm grass, a rare medicine herb, Kirti Monastery whose land area has tripled to 18,000 square meters in two decades is now in its most inactive period of the year.

If someone died in surrounding residential neighborhoods, lamas will recite sutras in the morning. In afternoon, Buddhist scripture debating is routinely held. Other than these, those who stay have plenty of time at their disposal.

With the annual worm grass trips normally ending early July, changes will happen to the monastery as some monks may decide to become laymen after being distracted by earthly affairs.

Qiu Ning, director of the Aba United Front Work Department in charge of religious affairs, estimated that about 100 Kirti monks will leave the clergy every year. "However, not every one of them can get accustomed to their new life."

Among those who commit self-immolation, secularized monks have surfaced as a vulnerable group. Tsering and Darli, both former Kirti monks, burned themselves on January 6. According to Tsering who survived, Darle had been very upset because he had promised to commit self-immolation together with Tenzi Wangmo, a nun of the Siwai Nunnery of Aba whom he met during last year's worm grass leave. The 20-year-old girl burned herself last October and died.

"Darle told me he wanted to burn himself too to ask for the forgiveness of the Buddha because he had stolen the golden Buddha statute of the Kirti Monastery. I felt he was so lofty and was inspired by his courage," Tsering was quoted in this oral confession to the police.

In his deep heart, Tsering had his pains. After leaving the Kirti Monastery, he married and divorced and always pinched pennies. He confessed that one month before committing self-immolation, he and his friend Nyigeme robbed 8,000 yuan from his relative Lokhor who had reported the crime to the police.

Tudong Tarqin, lama and deputy director of the management committee of the Namah Monastery in Kangding county of Ganzi prefecture, felt sorry to hear so many young former clergy had killed themselves.

"Buddha tells us to always observe and think. If someone seeks to convert to Buddhism because of family feud, setbacks in life or out of impulse, we must refuse. Likewise, Buddha instructs the Sangha not to give up on even the vicious one, because on the merit of wearing cassock for one day, ordained monks are sure to attain enlightenment."

Donggou Living Buddha, deputy director of the management committee of the Kirti Monastery, called himself a "stick-in-the-mud" and "too old to keep the younger generation under control."

"Each year we see many young Tibetans come in and leave. I don't have the number of secularized monks," said the 70-year-old to Xinhua.

TRICKY NON-VIOLENCE


Regarded as the root guru of Tibetan Buddhists of the Gelug sect, the 14th Dalai Lama told media on different occasions that he "did not encourage" or "did not condone" self-immolation. But he never explicitly forbids such cruel self-destruction.

Chinese officials have blamed the Dalai Lama for encouraging the self-immolations, saying that the exiled Tibetan religious leader prayed for those who died after committing self-immolation in public and refused to call for an end of a practice that violates a basic Buddhism doctrine -- not to kill.

"In the Buddhists' eyes, the Dalai Lama is their spiritual leader, if he reminds the followers of the doctrine, self-immolation will definitely end," said Likatesring, deputy head of Huangnan Tibetan autonomous prefecture government of Qinghai province.

It was a different story when Thubten Ngodup, one of his followers, lit himself on fire in a hunger strike organized in New Delhi by the Tibetan Youth Congress in 1998.

Robert Thurman, a professor of Indo-Tibetan Buddhist Studies at Columbia University who has studied with the Dalal Lama for nearly 30 years, revealed that the Dalai Lama had condemned: "This is violence, even if it is self-inflicted," according to Canada's National Post.

Although the Dalai Lama resigned his political role last year, Tibetan Buddhism remains deeply entangled with politics. And that was the fundamental problem plaguing Tibetan Buddhism, officials with the Aba prefecture noted.

The purpose of the series of self-immolations scheme, they said, was to use individual sacrifices to cement and sow hatred among the 16,000 Tibetan exiles, foment strife between Tibetans and the Chinese government, distract the Tibetan-populated regions from the focus of social and economic development and seek international attention to pressure the Chinese government.

"Their ulterior purpose is not to stage a dialogue but to sabotage," said an official who asked not to be identified.

Although the 14th Dalai Lama kept calling for non-violence, the average Tibetans and the government carders here felt otherwise.

Lei Kaiwei, political commissar of the Public Security Bureau of Aba County, almost lost his life while trying to rescue Lhorang Jamyang, a Kirti monk of the Kewa village of Antou township who set himself on fire on Jan. 14 at the Qiatang West Street.

"When I thought the fire on his body was quenched and was about to disperse the on-lookers, I heard a 'bang'. The guy rose, surrounded by an even fiercer fire due to his re-exposure to air. Shockingly, he started to catch the eight police officers on the site. Each of them flinched instinctively. It was chaotic. I heard screams and felt the crowd closing in," he said.

With bare hands, Lei caught the burning waist of Lhorang Jamyang, and a scuffle ensued. Lei said he gathered all his strength to pry open the arms of Lhorang Jamyang from his neck after both fell to the ground.

The 22-year-old died. Lei suffered serious burns on his hands and face. If Luo failed to break loose in 10 to 15 more seconds, doctors said he could have died from either carotid insufficiency or suffocation triggered by laryngeal edema.

"While patrolling the street, rain or shine, I always think it my duty to come to the rescue of those who commit self-immolation and protect the public from harm. I don't understand why Dharamsala associated us with military crackdown or suppression. That was mud slinging," said Lei.

Calling himself a "pure product" of the 2008 riots which broke out in Lhasa on March 14 and then other Tibetan regions including Aba, leaving 19 people dead and many businesses, residences and vehicles damaged or looted, Lei said he felt he owed his family an apology for having taken up a high-risk job.

For average Tibetans, the non-violence strategy advocated by the 14th Dalai Lama appeared to have more to do with hatred and bullying than what Mahatma Gandhi proposed, the power of love and understanding between all.

After the death of its monk Tsewang Norbu, Nyitso Monastery of Gelug sect in Daofu county of Ganzi prefecture sent out words that each household in its diocese must send a representative to pay condolence visit to the family's of those who have committed self-immolation and donate money otherwise they could no longer expect the monastery to do any Buddhist services for their families, police investigation showed.

During this year's spring farming season, leaflets were distributed in the county's Kongse township, threatening to burn the house of those who dared to follow the instruction of Han Chinese to cultivate lands.

Hu Wenbing, Party secretary of the Kongse township, said that one carder of the Geleg village took the lead to plough his land. His barn housing his cows and tractor was set on fire that night.

"If you don't follow the monasteries, you go to hell after death.' This is the most vicious menace as many Tibetans pinned the hope of their next life on monasteries," said Luo Yuehua, former principal of the Xialatuo Primary School of the Xialatuo village of Luhuo county in Ganzi.

The way to quell public fears, as Fu Shou, Party secretary of the Xialatuo village, noted, was to follow Buddhism doctrines rather than individual lamas.

As no one in Xiatatuo village participated in the riot that took place in Luhuo county on Jan. 23 when dozens of people, including some monks, stormed and smashed some stores and a police station, causing one death and nine injured, separatists threatened "if you don't follow monastery, your house will be burnt."

The village committee responded tit-for-tat, "If any house is burnt, everyone teams up to help its owner rebuild." Enditem

(Writing and reporting by Cheng Yunjie, Yi Ling and Xu Lingui. Dang Wenbo, Sun Yang and Hai Mingwei also contributed to the story from Sichuan)


Editor: Mu Xuequan