La realtà del Tibet sfida gli stereotipi dei media
di George N. Tzogopoulos, Global Times 26 agosto 2014
http://www.globaltimes.cn/content/878309.shtml
Appartengo adesso a quei privilegiati occidentali che hanno avuto un'esperienza diretta e originale sulla situazione del Tibet. Questa preziosa conoscenza mi ha permesso di formare il mio giudizio e la mia posizione circa la precisione che dela bibliografia occidentale su questo argomento.
Prima del mio recente viaggio in Tibet, avevo cercato di condurre alcune ricerche sulla regione autonoma, sopratutto grazie alle fonti occidentali.
Il loro contenuto è altamente negativo, unidimensionale. In particolare, il Tibet è ritratto quasi come un posto pericoloso, dove i tibetani sono privati dei fondamentali diritti umani.
E' anche illustrato come un luogo miserabile in cui le autoimmolazioni di cittadini locali dimostrano presumibilmente il carattere aggressivo e crudele del governo centrale.
Tutto sommato, la copertura è quasi esclusivamente basata sugli argomenti del quattordicesimo Dalai Lama.
Tuttavia, le mie conclusioni sono diverse dall'interpretazione occidentali sul Tibet.
Dal momento in cui sono atterrato all'aereoporto di Lhasa fino a quando ero in procinto di tornare, ho costantemente notato i positivi benefici della regione autonoma. La sua modernizzazione rispetta quella dell'intero paese.
Ad esempio, gli standard di vita dei tibetani e il prodotto interno lordo della regione, sono cresciuti negli ultimi anni.
Il sistema educativo è stato modernizzato e ha dato molta attenzione a preservare la cultura tibetana; i diritti delle donne all'educazione e all'occupazione sono altamente salvaguardati.
Oltre a ciò, sono in studio varie soluzioni per garantire lo sviluppo sostenibile dell'educazione bilingue nelle aree tibetane.
In parallelo con i risultati elencati sopra, un visitatore dell'altopiano tibetano può facilmente realizzare l'importanza attribuita dal governo centrale alla regione autonoma. La nuova autostrada che collega l'aereoporto di Lhasa alla città è un esempio caratteristico.
Inoltre, sono state completate e rese disponibili all'utilizzo di cittadini e turisti varie opere ferroviarie che collegano alcune città del Tibet.
In generale, la prima impressione di un visitatore internazionale è che la regione stia vivendo un boom di nuove costruzioni: autostrade, collegamenti ferroviari, palazzi e hotel, pronti ad essere usati nei prossimi anni.
Visitare il Tibet è stato importante, perchè mi ha dato la possibilità di parlare con normali cittadini e scoprire il loro livello di soddisfazione.
Forse, una delle prove migliori per un giudizio obiettivo è la vista dei volti felici delle giovani coppie, ragazzi e ragazze che camminano per strada e si godono la vita.
Molti erano appassionati nello scattare foto e caricarle immediatamente su social network come WeChat e Weibo.
Tornando dal Tibet, posso almeno dire che la regione non è stata capita in occidente. Gli stereotipi frequentemente riportati dai media, riflettono il tradizionale sospetto per una Cina in ascesa.
Sicuramente, come accade per altre regioni del mondo, c'è molto ancora da fare in Tibet, in modo da migliorare ancora gli standard di vita dei residenti e attrarre nuovi turisti. Ma il progresso registrato è significativo e promettente per il futuro.
Se c'è un ostacolo principale che la Cina deve superare per promuovere la regione autonoma al mondo è relativo alla sua strategia di marketing.
Quando alcuni media occidentali inizieranno a seguire un approccio più equilibrato relativo alla regione autonoma, si aprirà la strada per la diffusione della conoscenza del suo sviluppo armonioso. La comunicazione è importante quanto i risultati raggiunti.
L'autore è un ricercatore per la Fondazione Ellenica per l'Europa e la Politica Estera.
Traduzione dall'inglese di Andrea Parti
Alcuni cenni storici
La regione tibetana non raggiunse un'unità politica fino al VII secolo dopo Cristo quando, il re Songstan Gampo, unificò varie parti dell'area per attaccare la Cina dei Tang; tale conflitto si concluse con un'alleanza con i cinesi. Nel IX secolo, la dinastia si sfaldò e, come il resto della Cina fu conquistata nel XIII secolo dai Mongoli, che nominarono come dignitario locale, il primo Dalai Lama della storia2. Col declino dell'influenza mongola, il Tibet fu riconquistato nel 1721 dalla dinastia Manciù e fu trasformato nel 1751 in provincia autonoma.
Nel 1904 e nel 1912, nel quadro delle guerre coloniali contro la Cina, la Gran Bretagna invase il Tibet grazie al pretesto di controversie confinarie. Gli invasori stabilirono un rapporto con la classe monastica, cercando di attribuire uno status internazionale alle autorità tibetane facendole partecipare alla conferenza di Simla del 1913 dove, nonostante le fortissime proteste delle autorità cinesi, acquisirono unilateralmente i territori ancora oggi contestati con l'India3. Nessun governo cinese accettò mai l'esito di quella conferenza, il paese conservò la sua integrità territoriale che più tardi fu confermata dalle Nazioni Unite4. Nel 1950, con la fine della guerra civile e la proclamazione nel 1949 della Repubblica Popolare Cinese, le truppe di Mao Tse Tung completarono in Tibet il controllo sul territorio nazionale. Nel 1951 l'area divenne regione autonoma; per tentare di coinvolgere il Dalai Lama nelle riforme della società tibetana, ancora impostata a livello feudale, tra il 1951 e il 1959, non furono scalfiti gran parte dei privilegi di monaci e aristocratici, che continuarono a mantenere proprietà e potere giudiziario sui contadini e servi a loro legati per diritto ereditario; in base a queste decisioni il governo centrale aveva il controllo militare della regione ed un ruolo di coinvolgimento diretto nella promozione interna di nuove riforme sociali5. Ciò non fu sufficiente a creare i presupposti per una liberazione della società dai nobili feudali, che vedendo minacciati i loro privilegi di casta dominante, grazie all'appoggio della CIA6, organizzarono la reazione al governo comunista. Nel 1956 bande armate tibetane tesero un’imboscata ad un convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese, iniziando una sollevazione contro il governo centrale. Nel 1958 cominciò l'addestramento di oltre 300 tibetani nelle basi di Camp Dale e Guam. Molti di questi commando erano capi di clan aristocratici. Secondo una relazione degli stessi servizi segreti americani, il 90% di questa truppa non era conosciuto da nessuno all’interno del paese7 e il vero e proprio tentativo insurrezionale del 1959 fu sconfitto. Considerata la natura morfologica del territorio, l'esigua guarnigione dell’Esercito di Liberazione del Popolo operante in Tibet non sarebbe mai stata in grado di catturare la guerriglia dei fedeli al Dalai Lama, come poi fece, senza un appoggio diretto da parte della stessa popolazione tibetana. Ciò dimostra che su un piano effettivo la reazione al governo comunista abbia avuto una base molto ristretta all’interno della regione8. Dal 1960 le spese dell’intelligence americana ammontavano a 1,7 milioni di dollari annui, di cui 500000 destinati al mantenimento di 2100 ribelli nelle basi nepalesi e 180000 destinati alle “necessità personali” del Dalai Lama9, "rifugiato" in India10. In cambio di questo appoggio, gli americani aiutarono il paese confinante a sviluppare l'arma atomica11. Dopo il 1959, le autorità cinesi eliminarono il sistema di schiavitù, di servitù della gleba e l’utilizzo di mano d’opera non salariata. Fu eliminato il sistema delle tasse, creato un nuovo piano di lavoro, furono ridotte in larga parte la disoccupazione e la miseria. Furono edificati i soli ospedali esistenti nel paese e fu avviato un sistema educativo, che rompesse il monopolio dei monasteri in ambito medico e formativo. Furono costruiti sistemi di irrigazione per l’acqua e fu portata l’energia elettrica a Lhasa. Fu inoltre abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni compiute come forme di punizione dalle autorità religiose. Dal 1961 furono redistribuite ai contadini le terre dei signori; i greggi furono affidate alle comuni dei pastori. Una parte della popolazione rimase comunque religiosa e lasciata in libertà di fare elemosine al clero, tuttavia la gente non fu più costretta a rendere omaggio o a fare regali sotto coercizione ai monasteri e ai signori. I molti monaci costretti negli ordini religiosi fin da bambini furono lasciati liberi di scegliere se rinunciare o meno alla vita monastica. Il clero restante continuò a vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali12. Si tenga comunque conto che nel consolidare l’autorità sul Tibet, le stesse autorità cinesi ammettono degli errori, specie nel periodo della rivoluzione culturale (1966-1976), fase in cui le persecuzioni religiose raggiunsero un alto picco in tutto il paese13. Verso la fine degli anni ’70 la Cina aveva ottenuto la piena pacificazione della situazione, provando inoltre a correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti14.
Sconfitta sul campo di battaglia e parzialmente screditata dal miglioramento dei rapporti tra Pechino e Washington, l’attività sovversiva fu ridimensionata. Da questo momento in poi inizia la costruzione di uno stereotipo comunicativo basato sulla menzogna della "non violenza".
La creazione ad arte di uno stereotipo "non-violento"
Nel libro "La non violenza: una storia fuori dal mito", Domenico Losurdo dedica un capitolo intero al rapporto tra il Dalai Lama e la dottrina della non violenza.
Partendo da una citazione del Dalai Lama "Per tradizione i tibetani sono un popolo pacifico e non-violento. Da quando in Tibet fu introdotto il buddismo oltre un migliaio di anni fa, i tibetani praticano la non-violenza verso tutte le forme di vita15" smonta ogni singolo aspetto della quotidianità della società lamaista prerivoluzionaria. Dal posseso ostentato di armi da fuoco dei khampa16, alle continue mutilazioni e punizioni corporali inflitti alle classi più deboli17, alla segregazione - di fatto - razziale tra ricchi e poveri18, il mondo lamaista era completamente pervaso dalla violenza. Una violenza che non escludeva brutali guerre civili interne, una violenza che non risparmiava punizioni severissime per i monaci ribelli, una violenza che colpiva – a discrezione dei reggenti – anche i giovani Dalai Lama, uccisi a seconda della convenienza politica19.
Partendo da una citazione del Dalai Lama "Per tradizione i tibetani sono un popolo pacifico e non-violento. Da quando in Tibet fu introdotto il buddismo oltre un migliaio di anni fa, i tibetani praticano la non-violenza verso tutte le forme di vita15" smonta ogni singolo aspetto della quotidianità della società lamaista prerivoluzionaria. Dal posseso ostentato di armi da fuoco dei khampa16, alle continue mutilazioni e punizioni corporali inflitti alle classi più deboli17, alla segregazione - di fatto - razziale tra ricchi e poveri18, il mondo lamaista era completamente pervaso dalla violenza. Una violenza che non escludeva brutali guerre civili interne, una violenza che non risparmiava punizioni severissime per i monaci ribelli, una violenza che colpiva – a discrezione dei reggenti – anche i giovani Dalai Lama, uccisi a seconda della convenienza politica19.
Il punto di vista ambiguo sulla guerra da parte del capo del cosiddetto "governo in esilio" lo ha portato anche a giustificare il suo appoggio ad alcuni tra i più brutali interventi militari del ventesimo secolo quali il bombardamento della Yugoslavia20, la Guerra di Corea21 e a ritenere positivo il possesso del deterrente atomico da parte dell'India in funzione anticinese22.
Davanti all'evidenza degli omicidi compiuti dai commando paramilitari inviati in Tibet negli anni '50, la propaganda americana cercò di mostrare una visione edulcorata, secondo la quale il Dalai Lama o non era a conoscenza di tali violenze23 o che considerava come una reazione spontanea della popolazione alla cosidetta "occupazione comunista cinese". Tale pratica è stata ripresa anche nel dare copertura e giustificazione mediatica al fenomeno delle autoimmolazioni di giovani monaci, secondo quanto riportato da alcune recenti interviste24.
Le autoimmolazioni
La stampa occidentale riporta periodicamente notizie di giovani monaci tibetani che hanno deciso di autoimmolarsi, spesso accompagnate da accurati servizi fotografici che ricostruiscono la vita e le volontà di questi ragazzi. Latita nel modo più completo, l'informazione riguardante le cause e il retroterra culturale su cui nascono questo genere di azioni. Per approfondire meglio questo argomento una risposta può essere trovata andando a verificare i racconti di chi, per varie vicissitudini, è sopravvissuto o ha partecipato ad esperienze simili. In seguito a una fuga di notizie, nel 2001 fu scongiurato un tentativo di autoimmolazione a Lhasa25. Gyatso, un giovane monaco tibetano fu fermato insieme a un complice, incaricato di filmare la scena della sua autoimmolazione. La sua testimonianza è stata ripresa in questo periodo da parte dei media cinesi, per una sensibilizzazione dell'opinione pubblica, in seguito al moltiplicarsi di casi simili. Poco più che adolescente, con l'intento di sviluppare le sue conoscenze religiose, il giovane fuggì clandestinamente in India a Dharamsala, sede del cosiddetto "governo tibetano in esilio". Lì fu sottoposto ad un lavaggio del cervello da parte di esponenti di gruppi separatisti e giornalisti occidentali. Fu pagato per partecipare a scioperi della fame in sostegno della causa indipendentista e in seguito, durante un incontro con varie personalità del "movimento in esilio" gli fu chiesto se fosse stato in grado di portare a termine la causa "suprema", la pratica dell'autoimmolazione. Una pratica che avrebbe trasformato uno sconosciuto ragazzo di provincia in un "eroe immortale"26; dovrebbe far riflettere che meccanismi simili di plagio e sfruttamento psicologico vengono perpetrati da noi quotidianamente, sebbene con fini diversi, nelle dinamiche legate alle varie forme di marketing piramidale. Secondo un'indagine della polizia cinese risulta che, esclusi alcuni limitati casi di nazionalismo estremista, la maggior parte delle persone che si autoimmolano provengono da situazioni con forti disagi (lutti, separazioni, bassa scolarizzazione)27. L'autoimmolazione è consigliata alle vittime, come un modo per ottenere una sorta di redenzione dai peccati commessi o un aiuto economico per la famiglia di orgine, tramite denaro proveniente dall'estero28. L'arresto di Lorang Konchok, un alto prelato tibetano accusato di omicidio per aver convinto otto persone a darsi fuoco, è stato utile per capire meglio la dinamica che c'è dietro a questi gesti spacciati per spontanei. Le vittime sono spesso affiancate da una rete di "complici", incaricati di filmare e fotografare le scene delle autoimmolazioni e di spedirle quanto prima possibile a canali esteri, legati alla stampa estera a sostegno del Dalai Lama. Un particolare davvero macrabro e che dovrebbe far riflettere su quanto sia disumano questo meccanismo, è la celerità con cui queste notizie vengono poi effettivamente pubblicate sui nostri canali29. Durante un interrogatorio, alla domanda se avesse mai pensato ad autoimmolarsi lui stesso, Lorang Konchok rispose "Non oso. Ho paura della morte, ho paura del dolore30".
Conclusioni
L'intera vicenda, se debitamente approfondita, mostra in modo abbastanza chiaro che la visione di una Cina che nasconde i dissensi interni è completamente falsa. Contrariamente a quanto sostenuto dalla stampa occidentale, i media della Repubblica Popolare, hanno affrontato l'argomento e sensibilizzato il più possibile l'opinione pubblica sultema delle autoimmolazioni, alimentando anche un dibattito in ambito religioso su questo argomento31. Oltre al necessario sforzo di intelligence e alle azioni di pubblica sicurezza, le autorità cinesi hanno fatto il possibile per salvare dalle autoimmolazioni i giovani, intervenendo quando possibile per salvarne le vite, tramite lo sforzo di medici provenienti da tutto il paese32. Il Dalai Lama, da un lato nega il suo diretto coinvolgimento, dall'altro promuove questa pratica dicendo che pregherà per queste "forme supreme di manifestazioni non violente". In un'intervista al quotidiano indiano Hindu, ha dichiarato una sorta di neutralità: "Se dico qualcosa di positivo i cinesi mi incolperanno subito. Se dico qualcosa di negativo, allora i componenti delle famiglie di quelle persone saranno tristi. Hanno sacrificato la loro vita. Non è facile. Quindi non voglio dare l'impressione che sia sbagliato33". Quello che è certo, a differenza del resto dei buddisti34 è che da parte sua non è mai arrivata nessuna condanna. In una sua dichiarazione all'NBC le sue dichiarazioni esaltano e giustificano questo tipo di gesti: "Vivo in un paese libero[...] Ma loro stanno attraverso situazioni disperate, quindi prendono queste decisioni. Sono abbastanza certo chequelli che hanno sacrificato le loro vite con sincere motivazioni, [...] per il benessere delle persone, dal un punto di vista buddista o religioso, è positivo. Ma questi atti sono carichi di rabbia e odio, quindi è sbagliato. E' difficile giudicare35>>. Come spiegato da Losurdo, al ripresentarsi della violenza, il Dalai Lama adotta la strategia di non sapere o di non conoscere a fondo il modo in cui agiscono i propri intermediari. Continua a portare avanti, con altri mezzi e senza alcun rispetto per la vita, la guerra di secessione iniziata negli anni '50. Una guerra per il ripristino dei principi e dei privilegi feudali che hanno contraddistinto la sua amministrazione del Tibet. Una guerra che non si fa scrupoli a prendere vite per un semplice lancio di agenzia.
1 Cfr. TARQUINI ANDREA, Tibet, svelati i dossier sulla guerriglia – I soldi della CIA al Dalai Lama, La Repubblica, 9 giugno 2012
2 Cfr. PARTI ANDREA, La questione tibetana, Essere Comunisti, 5 marzo 2009
3 Cfr. COLLOTTI PISCHEL ENRICA, Tibet, “Il Manifesto”, 9 gennaio 2000
4 Cfr. PARTI ANDREA, La questione tibetana
5 Ibidem
7 Cfr. LEARY WILLIAM, Secret Mission to Tibet, Air and Space, dicembre 1997-gennaio 1998
9 Si tenga conto che già a partire dal 1949 gli Stati Uniti cercassero di convincere il Dalai Lama ad andare in esilio.
10 Cfr. ARESHEV ANDREJ, Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il “tetto del mondo”?,
12 Cfr. Ibidem
13 Cfr. KURTENBACH, Associate Press Report, San Francisco Chronicle, 12 febbraio 1998
14 Cfr. Ibidem
15 Cfr. LOSURDO DOMENICO, La non violenza – Una storia fuori dal mito, Editori Laterza, 2010, p. 187
16 Cfr. Ibidem, p. 188
17 Cfr. Ibidem, pp. 190-191
18 Cfr. Ibidem, pp. 192-193
19 Cfr. Ibidem, p. 189
20 Cfr. PARTI ANDREA, La questione tibetana
21 Cfr. LOSURDO DOMENICO, La non violenza- Una storia fuori dal mito, p.196
22 Cfr. Ibidem, p. 198
23 Cfr. Ibidem, p. 202
24 Cfr. CURRING ANN, NBC Interviews His Holiness the Dalai Lama on Self-Immolation Tragedy in Tibet, NBC, 23 ottobre 2012
25 Cfr. Articolo non firmato, Dalai Clique's Spies Caught, Plot Crushed, People Daily Online, 18 maggio 2001
28 Per un maggiore approfondimento sull'argomento, consiglio la visione dei documentari in lingua inglese "Facts about the Self immolations in Tibetan Areas of Ngapa " e "Self immolations in Ganan and the Tibetan independence activists outside China", liberamente consultabili nel canale Youtube di CCTV Online
29 Vedi nota precedente
30 XUEQUAN MU, Monk goads people to commit suicide, Xinhua, 28 gennaio 2013
31 Il buddismo rappresenta circa il 6% della popolazione mondiale. Di questo 6%, 1/60 è rappresentato dal buddismo tibetano che a sua volta è suddiviso in 4 scuole diverse; soltanto una di queste, quella dei "berretti gialli", fa riferimento al Dalai Lama.
32 Vedi nota 25
33 Cfr. KRISHNAN ANANTH, Dalai Lama speaks of dilemma on spreading self-immolations, The Hindu
35 Cfr. CURRING ANN, NBC Interviews His Holiness the Dalai Lama on Self-Immolation Tragedy in Tibet